I wish you were here to see the end of the war.
I wish we were in Rome. One of these evenings, so sweet and cold, while Christmas is approaching, I would have come to hear you sing at the Teatro Argentina.
I would have eagerly left my stage, after the last applause, to wait for you at the side exit.
I would have watched all the people parading around, emptying the theatre. The old married couples, the big women in mink coats, the friends in groups of three, of four. I would have watched the chins hiding under their scarves, the vapours from their mouths saying: “it’s so cold” as they would pass through the exit doors and run to their cars. Some saying “goodbye”, some discussing where to go for dinner. I would have kept my fists in the coat, imagining in the meantime what you could have said to me soon after.
Then the musicians would have come out too, the pretty little girls dragging their cellos, a few tired choristers. And you would have come out too, smiling, still with your stage hairdo.
“Let down your hair, women are beautiful with hair in the wind,” said that man once, years ago, at the end of the performance. But your beauty was also there, in that piece of Aida or Tosca you always took with you out of the theatre, into the real world. Your beauty, again I would have noticed it without telling you. I would have noticed how the air would have become warmer and lighter, how the strings of Christmas lights on the balconies would have illuminated your glass eyes. What I would have said, though, would have been stupid without a doubt. Something to make you laugh, “you were so out of tune”, for example. You would have liked it just the same, more than any other compliment perhaps, because you would have known how false and silly it was (how much I adored you instead, and still do).
“Where are we going?” you would have asked me, giving me the two cheek kisses the Italian way, as I taught you. And I would have made you a list of all the trattorias in Rome, the ones farthest away, so I could have had an excuse to walk longer together.
So, we would have walked into the evening, a sweet and cold evening, like it is one of these nights.
In Largo Argentina, I would have told you about Pompey and Julius Caesar, about the friendships and rivalries at the heart of every story. I would have shown you how there, right there, once upon a time had died the greatest strategist of all time. I would have told you about ancient times as if I had lived in them, while you would have imagined the Ides of March sung in theatre.
Then, it would have been your turn to tell me something. Perhaps of your winters as a child? The evenings much colder than this, the frozen rivers where your mother skated, like on shiny roads?
Walking, we would have reached the Parthenon, and then I wish I would have had the courage to dance with you, in the piazza, just like that. I think about it every time I pass by: I wish I could dance with you, in the piazza, in Rome, at night, in December.
We would have been so happy. The city ghosts would have flown lightly over us. We would have had no need for accordions and the worries of the days would have seemed silly and vain. We would not even have felt hunger anymore and we would have thought of nothing but that very moment.
When you had to leave, when every show was cancelled and every theatre closed, did you feel lost and alone? Alone in a foreign and hostile world. When the war had started, and your friends were from each of the countries involved, and your homeland was an aggressor, did you feel hated? Then, in the darkest of days, did you have love? Did you see it, love?
I wish I could stop wondering.
I wish it was December and that it was later in the night, and that we could slide running down the steps of Trinità dei Monti. Fast, fast until we are breathless, until we fall. Falling together, or you in my arms.
We would have chatted about distant events and other people’s lives, passions, poets, inexorable mistakes. The world would have seemed small to us, repetitive and comical in its never learning.
No one is around anymore in the night of Rome, and in the silence, letting a stray dog accompany us, we would have understood the whole truth of the world. The one we always suspected. We would have understood everything.
We would have waited for the first feeble morning lights mirrored in some fountain, and exhausted and hungry we would have dived into the first open café to order cornetti from a sleepy waiter who would have smiled at us, because we would have radiated goodness and joy, and all the love ever said.
Together, we would have waited for the sun.
Now, though, that still it’s December, and is cold, it is still dark outside. And I am not in Rome. The war is not over. And you are not here.
To V.S.
***
Vorrei che tu fossi qui, per vedere la fine della guerra.
Vorrei che fossimo a Roma. Una sera di queste, dolce e fredda, che si avvicina Natale, sarei venuta a sentirti cantare a Teatro Argentina.
Avrei lasciato con trepidazione il mio palco, dopo gli ultimi applausi, e sarei venuta ad aspettarti all’uscita laterale.
Avrei guardato tutta la gente sfilare svuotando il teatro. Le vecchie coppie di sposi, le donnone in pelliccia di visone, le amiche a gruppi di tre, di quattro. Avrei osservato i menti abbassarsi sotto le sciarpe, i fumi della condensa delle loro bocche che dicono “che freddo”, mentre attraversano le porte di uscita e corrono verso la macchina. Qualcuno si saluta, qualcuno discute sul dove andare per cena. Io mi sarei stretta i pugni nel cappotto, immaginando intanto cosa mi avresti detto di lì a poco.
Sarebbero, poi, usciti anche i musicisti, le ragazzine graziose a trascinare i violoncelli, qualche corista stanco. E saresti uscita anche tu, sorridente, ancora con la pettinatura di scena.
“Sciogli i tuoi capelli che le donne sono belle coi capelli al vento” ti aveva detto una volta, anni fa, quell’uomo a fine spettacolo, ma la tua bellezza era anche lì, in quel pezzo di Aida o di Tosca che ti sei sempre portata insieme fuori dal teatro, nel mondo vero. La tua bellezza, ancora una volta io l’avrei notata senza dirtelo. Avrei notato come l’aria si sarebbe fatta più calda e leggera, come le luci ai balconi avrebbero illuminato i tuoi occhi di vetro. Quello che avrei detto, però, sarebbe stato stupido senz’altro. Qualcosa per farti ridere, “hai stonato”, per esempio. A te sarebbe piaciuto lo stesso, forse di più di ogni altro complimento, perché avresti saputo quanto sarebbe stato falso e sciocco (quanto io ti adorassi invece e avrei continuato ad adorarti sempre, e ti adori ancora).
“Dove si va?” mi avresti chiesto dandomi i due baci all’italiana, come ti ho insegnato io. E io ti avrei fatto l’elenco delle trattorie di Roma, le più lontane, per avere la scusa di poter camminare insieme.
E così ci saremmo addentrati nella sera, una sera dolce e fredda, come una di queste.
Lì, a largo Argentina, ti avrei raccontato di Pompeo e di Giulio Cesare, delle amicizie e delle rivalità alla base di ogni storia. Di come lì, proprio lì, era morto il più grande stratega di tutti i tempi. Ti avrei parlato dei tempi antichi un po’ come se li avessi vissuti, mentre tu avresti immaginato le Idi di marzo cantate a teatro.
Poi sarebbe stato il tuo turno di raccontarmi qualcosa. Forse dei tuoi inverni da bambina? Le sere più fredde di questa, i fiumi ghiacciati dove tua madre pattinava, come su lucide strade?
Camminando avremmo raggiunto il Pantheon e allora vorrei aver avuto il coraggio di farti ballare, in piazza, cosi. Ci penso ogni volta che passo di lì: vorrei poter portarti a ballare in piazza, a Roma, di notte, a dicembre.
Saremmo stati felici. I fantasmi della città ci avrebbero sorvolati leggeri. Non avremmo avuto bisogno di fisarmoniche e i crucci dei giorni ci sarebbero parsi sciocchi e vani. Non avremmo nemmeno sentito più fame e non avremmo pensato a nient’altro che a quel preciso istante.
Quando eri dovuta partire, quando ogni spettacolo era stato cancellato e ogni teatro chiuso, ti eri sentita persa e sola? Sola in un mondo straniero e ostile.
Quando la guerra era iniziata e i tuoi amici erano ognuno dei paesi coinvolti, e la tua patria era aggressore, ti eri sentita odiata? Allora, nei giorni di buio, avevi l’amore? Lo vedevi, l’amore?
Vorrei poter smettere di chiedermelo.
Vorrei che fosse dicembre e che fosse notte, ormai, e che potessimo scivolare correndo giù per i gradini di Trinità dei Monti. Veloce, veloce fino a restare senza fiato, fino a cadere. Cadere insieme, oppure tu nelle mie braccia.
Avremmo chiacchierato dei fatti lontani e delle vite altrui, delle passioni, dei poeti, degli inesorabili errori. Il mondo ci sarebbe parso piccolo, ripetitivo e buffo nel suo non imparare mai.
Nessuno è più in giro nella notte di Roma, e nel silenzio, lasciando un cane randagio accompagnarci, avremmo capito tutta la verità del mondo. Quella che sospettavamo sempre. Avremmo capito tutto.
Avremmo aspettato l’alba riflessa in qualche fontana ed esausti e affamati ci saremmo tuffati nel primo caffè aperto per ordinare cornetti a un cameriere assonnato che ci avrebbe sorriso, perché avremmo emanato buono e gioia, e tutto l’amore mai detto.
Avremmo aspettato il sole.
Adesso, però, che pure è Dicembre, e fa freddo, fuori è ancora buio. E io non sono a Roma. La guerra non è finita. E tu non ci sei.
A V.S.